Daniela Pistoia, Corporate Chief Scientist di ELT Group, dove lavora da oltre vent’anni, nasce come ingegnera elettronica. L'azienda per cui lavora – ci racconta - si occupa di progettare, sviluppare e fornire a clienti (tipicamente delle forze armate e di paesi NATO e non) sistemi e soluzioni che consentono la protezione delle piattaforme aeree, navali, satellitari e sommergibili grazie all’utilizzo dello spettro elettromagnetico. Si tratta di una protezione che viene definita “soft kill”, che utilizza quindi l'energia dello spettro elettromagnetico per offuscare la piattaforma nei confronti di una minaccia come un missile, un radar o un sistema simile.
«Lo spettro elettromagnetico è qualcosa che non si vede, sebbene noi lo usiamo tutti i giorni attraverso i dispositivi collegati con wireless, i telefonini e tutti i sistemi IoT: è pervasivo nella nostra vita di tutti i giorni. Una pubblicazione open source del Department of Defense degli Stati Uniti lo definisce come una risorsa naturale, fondamentale per la prosperità di un paese. Quindi va protetta, va gestita e fa parte del paese. Solo che non si vede, quindi questa è la difficoltà di spiegarlo e raccontarlo: sembra un po’ fantascientifico, ma in realtà poi lo usiamo tutti i giorni per scambiarci dati, la localizzazione, per fare acquisti online, gestire gli antifurti e il forno a microonde»
Essendo una risorsa così importante viene usato per le telecomunicazioni e, in particolare, per uso militare. L'azienda ha iniziato negli anni ’50 a fare ricerca proprio all'interno di questa disciplina e poi si è allargata toccando tutti i domini, dal mare, alla terra, all’aria, allo spazio e al cyber. Ma si è allargata anche dal punto di vista geografico: l'anno scorso il business internazionale ha superato quello europeo perché chiaramente l'Italia può assorbire fino a un certo volume di lavoro.
Ricerca e sviluppo oltre il settore difesa
L'azienda, di fatto, si occupa di ricerca e sviluppo, con un portafoglio ordini che l'anno scorso ha superato i 300 milioni di euro, e investe in ricerca e sviluppo ogni anno circa 50 milioni di euro, circa 1/6 per la maggior parte autofinanziata. «Abbiamo un meccanismo di previsione sia di quello che sarà il business che di quello che saranno le esigenze dei nostri clienti nei prossimi 3 - 5 anni, abbiamo un piano a 10 anni; c'è anche un monitoring dei Trends sia tecnologici che operativi, e siamo attenti ovviamente ai grandi e piccoli eventi mondiali che cambiano le priorità della difesa».
Una realtà che conta molto sul processo di innovazione, non necessariamente spinto dall'esigenza esterna, come testimonia anche il premio di innovazione interno che è stato istituito, con il quale si cerca di sollecitare i collaboratori, i dipendenti e i fornitori a proporre soluzioni e idee innovative che vengono poi finanziate per capire se portano a qualche cosa di concreto. È successo anche durante la pandemia da Covid-19, che ha sicuramente sconvolto tutti, dai cittadini alle aziende stesse, ma ha portato anche delle belle novità.
«La competenza che abbiamo internamente è sicuramente verticale, però poi le applicazioni possono essere di vario tipo anche in senso orizzontale. Durante i primi mesi della pandemia, quando eravamo ancora in lockdown, ho ricevuto una e-mail da un nostro ingegnere che ha un figlio con una disabilità. Lui si è scervellato giorno e notte per trovare un modo di evitare l'ospedalizzazione, che sarebbe stata molto problematica in quelle condizioni. Ha proposto di utilizzare lo spettro elettromagnetico per creare le condizioni di inattivazione del virus del Covid: mi ha proposto questa idea alle 02:00 di notte, alle 12:00 io ero dal direttore generale, il pomeriggio eravamo dal Presidente, e il giorno dopo abbiamo cominciato a costituire un team per cercare di studiare questa idea e metterla in pratica. Bene, l’abbiamo brevettata e adesso è un prodotto vero e proprio: si chiama E4Shield ed è una tecnologia in grado di inattivare i virus respiratori. Abbiamo inoltre creato con Lendlease la newco E4Life, che fa parte di Elt Group e che si occuperà della produzione e distribuzione di questo dispositivo. Ad occhio sembra come una scatoletta wifi che, inattiva i virus per cui è programmata ed è certificata CE e SAR. Il primo virus che abbiamo testato è stato il coronavirus responsabile di Covid-19 e la tecnologia ha mostrato una efficacia in aerosol del 90%; la ricerca è poi proseguita con risultati altrettanto positivi sui virus responsabili dell’influenza stagionale».
Ingegneri elettronici al centro dell’azienda
Daniela Pistoia, nella sua carriera, ha sempre operato nel settore della difesa e le è sempre stato consentito di dedicare una parte del proprio lavoro allo studio, necessario per rimanere aggiornati in un contesto in continua evoluzione come quello della ricerca e sviluppo. Questo è stato possibile sia in maniera strutturata, con dei corsi interni ed esterni insieme alle università, sia in maniera personale, trovando il tempo di aggiornarsi, costruire la propria expertise nel lavoro di tutti i giorni, confrontandosi con i colleghi e studiando per conto proprio.
E proprio parlando di personale e di competenze, non possiamo non chiedere qual è la situazione a livello di carriere, reclutamento e tipi di posizioni che in un’azienda di questo tipo sono richieste.
«Noi di lavoro ne abbiamo tantissimo. Su circa 1000 persone, più della metà sono ingegneri, poi abbiamo altri 200 tecnici qualificati e poi ci sono i servizi amministrativi, di vendita e finanza. Gli ingegneri elettronici sono circa il 22%. Ma noto una differenza oggi: quando ho studiato io ci venivano letteralmente a cercare e c'erano tanti ingegneri elettronici, le aule delle università erano piene e non si trovava il posto la mattina. Adesso non è così, anzi alcune facoltà faticano proprio a raggiungere il numero minimo per poter attivare il corso».
Le ragioni possono essere diverse e questo non vale per tutti i tipi di ingegneria. Innanzitutto - ci spiega Daniela - c'è la percezione che il mondo sia informatico e in parte è sicuramente così, perché abbiamo trasferito una parte della capacità di calcolo da hardware a software, ma tutti i dispositivi che usano il software hanno bisogno dell'hardware e, a maggior ragione, quelli che comunicano con uno spettro elettromagnetico hanno bisogno di un traduttore che trasformi l’onda elettromagnetica in un segnale elettrico per mezzo di un'antenna. L’azienda assume prevalentemente ingegneri elettronici, delle telecomunicazioni, informatici e meccanici, ma c'è un vero e proprio buco sulla parte elettronica, mancano gli studenti a partire dalle iscrizioni. Questo per l’industria della difesa in Italia è un grosso problema perché ha numerose piattaforme ed equipaggiamenti e ha quindi necessità di figure che siano in grado di portare avanti progetti con un grado di innovazione elevato. «Parlare con le scuole, con le famiglie, entrare nei licei, negli istituti tecnici è importante e le nostre risorse umane stanno cercando di anticipare questo contatto», dice Daniela.
E racconta un episodio personale molto importante per far capire come orientarsi nelle prospettive lavorative sia spesso difficile, ma allo stesso tempo è importante avere una visione cui ispirarsi.
«Mi ero appena laureata, avevo fatto la tesi in un'industria, l’attuale Leonardo, nella divisione sistemi missilistici. Dopo la laurea ho fatto il colloquio tecnico, e il responsabile dell'ingegneria mi chiese come e dove mi vedevo da lì a 15 anni. Io ho risposto che avrei voluto essere al posto suo e ci sono riuscita: ho inseguito quel sogno, ho cercato di prendere al volo le occasioni, altre ancora ho cercato di crearle ad hoc per arrivare lì. Oggi in azienda abbiamo uno strumento fatto apposta per mostrarci il modo di arrivare da una posizione professionale all’altra, mostrando quali sono i percorsi possibili in maniera orizzontale e verticale: il personale ha abbinato ad ogni posizione i corsi da seguire, le competenze da ottenere e le verifiche che il personale deve eseguire per accertare che la persona sia pronta per arrivare in una determinata posizione».
Un sistema di talent management e assessment, quindi, usato per stimare il tempo medio e le competenze che servono, non solo tecniche ma anche “soft”, per le quali viene fatta una valutazione, soprattutto quando si tratta di ruoli gestionali e manageriali di un certo livello. E dato che migliorare e crescere è fondamentale per ogni figura professionale, vengono proposte delle vere e proprie sfide sul lavoro che portano le persone a confrontarsi con contesti più difficili e coltivare quelle competenze necessarie a ricoprire un certo ruolo.
Ma non solo: per trattenere e coltivare i talenti sono importanti anche tanti altri aspetti legati al welfare aziendale, all’equilibrio tra vita lavorativa e personale e alla mentalità che si applica al concetto di lavoro, che cambia nel tempo e nelle generazioni richiedendo un’innovazione anche da questo punto di vista.
Ancora bassa la presenza di donne ingegneri
Daniela fa parte di un’associazione chiamata Women4Cyber, che si occupa di incoraggiare la presenza femminile nel settore della cybersecurity. Qual è la situazione in azienda?
«La percentuale di donne è intorno al 19%, si parla di numeri che si distribuiscono a vari livelli e reparti dell’Azienda; percentuale che si abbassa decisamente se ci concentriamo su quante hanno un background ingegneristico».
Molto dipende, come abbiamo già avuto modo di scoprire anche con altre interviste, dal percorso pre-universitario e dal contesto familiare e scolastico in cui ci si trova. Oltre a ciò, è necessario far capire che non esiste il difficile per l'uomo o per la donna, ma spesso il problema risiede nella comprensione delle prospettive, nella creazione di un immaginario di cosa ci si può aspettare facendo questo tipo di percorso e una rappresentazione anche nelle posizioni apicali di un’azienda.
«La nostra azienda da questo punto di vista non fa alcuna distinzione, è molto sensibile anzi ai temi di Diversity & Inclusion: io ne sono l'esempio, ma come me ci sono diverse donne in posizioni apicali di management e la percezione della loro competenza è assolutamente indifferente rispetto a quella dei colleghi uomini: il valore aggiunto sta nel combinare tra loro le diverse attitudini. Posso dire che nella mia esperienza, in trent'anni di carriera, qualche episodio di discriminazione l'ho subito e ancora me li ricordo, ma vedo anche che negli anni le cose sono molto migliorate, anche se c'è ancora tanto da fare. Di donne al vertice, a partire dalla politica fino ai settori dell’industria e della scienza, oggi ce ne sono tante».
E anche se parliamo di barriere, visibili e invisibili, di quelle che fanno venire il dubbio di essere fuori posto, di non appartenere ad un certo settore perché non ci si sente rappresentate, vediamo che le cose stanno cambiando.
«Non dobbiamo pensare da subito di dover superare delle barriere, a volte è come se ce le ponessimo da sole, in qualche maniera. Piuttosto dobbiamo aumentare la nostra sicurezza, cercare altri casi di successo da prendere come esempio. Oggi anche la mentalità, soprattutto delle nuove generazioni, sta cambiando molto sui ruoli delle donne e su come si possono realizzare nel mondo del lavoro e non solo come madri. Mi colpì molto allora, diversi anni fa, quando un mio ex collega ci annunciò che si sarebbe dimesso di lì a tre mesi: dopotutto sua moglie, una chirurga, guadagnava molto bene, aveva la sua carriera e, avendo tre figli, qualcuno doveva occuparsi di loro. Sono questi gli esempi che oggi dovremmo raccontare sempre di più», conclude Daniela.
Non ci resta che prendere spunto dalle parole di Daniela e prendere al balzo il suggerimento di continuare a raccontare storie di successo e di realizzazione di donne e uomini che oggi fanno parte di questo settore così importante ai fini dell’innovazione.
PER APPROFONDIRE:
- Ingegnere donna: è ora di invertire il trend negativo
- Materie STEM e Gender Gap: rovesciare gli stereotipi nei corsi di laurea di ingegneria