“Negli ultimi anni, ho focalizzato una parte significativa dei miei studi sul radar quantistico, spinto dal desiderio di verificare la solidità delle numerose promesse fatte in questo ambito”.
Con queste parole è iniziata l’intervista a Gaspare Galati, attualmente professore onorario presso l’Università di Roma Tor Vergata, rilasciata alla Società Italiana di Elettronica, suscitando grande interesse per il suo percorso professionale.
Il professor Galati si è laureato in ingegneria nucleare con una tesi svolta presso il Centro di Ricerche CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) alla Casaccia, un Ente pubblico di ricerca poi rinominato ENEA (Ente Nazionale Energie Alternative). In seguito all’ostracismo e al successivo blocco del nucleare in Italia, appena laureato non ha iniziato a lavorare al CNEN e ha intrapreso una stimolante esperienza lavorativa presso la Selenia – Industrie Elettroniche Associate SpA, successivamente chiamata Selex e oggi Leonardo. Successivamente, vincitore di concorso nazionale, è passato all'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, dove ha svolto gran parte delle sue ricerche nel campo dei radar.
Qual è l’elettronica che rende possibile il funzionamento di un radar?
“Il radar è un dispositivo che emette segnali elettromagnetici, tipicamente nella regione delle microonde, e analizza l'eco, ossia il segnale che ritorna dopo aver interagito con uno o più oggetti. In sostanza, funziona emettendo un segnale ad alta potenza e attendendo il tempo necessario per ricevere l'eco. Misurando questo tempo e conoscendo la velocità di propagazione, pari a quella della luce, il radar è in grado di calcolare la distanza dell'oggetto. Inoltre, grazie alla direttività dell'antenna, il radar può localizzare l'oggetto in due o tre dimensioni”.
Il Prof. Galati ci ha illustrato come il radar differisca dalle telecomunicazioni, dove un utente A si connette con un utente B; quando l’utenza è un ampio pubblico si parla di radiodiffusione (in inglese. Broadcasting). Nel radar, viceversa, il segnale emesso deve tornare al punto di origine, creando un sistema a due vie: una per l'andata e una per il ritorno. Questo implica che il segnale di ritorno subisca un’attenuazione a due vie proporzionale alla quarta potenza della distanza (nelle telecomunicazioni l’attenuazione è proporzionale al quadrato della distanza), rendendo necessarie sofisticate elaborazioni per rivelare l'oggetto da localizzare e identificare l'ambiente circostante.
“Inizialmente, il radar funzionava a impulsi: si inviava un impulso nell'etere, che ritornava fortemente attenuato e deformato, ma comunque riconoscibile. Con l'avanzare della tecnologia, è stato possibile generare segnali più sofisticati, che vengono amplificati, trasmessi e successivamente ricevuti come eco del bersaglio. Questo ha portato all'evoluzione dai semplici radar a impulsi ai radar più complessi, chiamati “a compressione di impulso”. Il primo vantaggio di questi radar evoluti è la loro più difficile analisi e identificazione da una parte avversa e/o maliziosa. Inoltre, il segnale di eco può essere elaborato in ricezione per migliorare la rivelazione, la discriminazione e la precisione nella misura della distanza. Per ottenere questo risultato, occorre memorizzare il segnale trasmesso. Quando arrivano gli echi, si effettua un processo chiamato “correlazione” tra il segnale memorizzato e gli echi ricevuti. Gli echi provenienti da un bersaglio che risponde al mio segnale, e non ad altri, presentano un picco di correlazione, ovvero una maggiore “somiglianza” con il segnale trasmesso. Questo processo dà vita al radar "a compressione di impulso”. Quando il segnale trasmesso è generato tramite un processo casuale (o pseudo-casuale) il radar a compressione di impulso viene chiamato “noise radar.
Il prof. Galati ha spiegato che il noise radar può trasmettere continuamente e generare un segnale sempre diverso. Il noise radar memorizza l'ultimo segnale trasmesso e, al momento del ritorno, ne esegue in tempo reale una correlazione con l’eco. L’emissione di questo tipo di radar, vista da un osservatore esterno, appare come un rumore e risulta quindi difficile da intercettare. In breve, il segnale del noise radar è riconoscibile solo da chi lo ha generato.
Come funziona un radar quantistico?
“Recentemente, diversi studiosi hanno iniziato a esplorare la possibile evoluzione del noise radar verso il radar quantistico. Questa idea nasce dal concetto che il campo elettromagnetico che trasporta l'impulso è costituito da una collezione di fotoni, ciascuno con energia proporzionale alla frequenza del fotone stesso. Max Planck, infatti, nell’anno 1900 postulò che le onde elettromagnetiche sono composte da fotoni. La rivoluzionaria idea di Planck permise di modellizzare correttamente lo spettro di emissione del corpo nero, cioè di un oggetto ideale che emette in ragione della sua temperatura e assorbe tutte le radiazioni incidenti. Un oggetto scuro e caldo, come l’interno del filamento di una lampada alogena, approssima il comportamento di un corpo nero.
Intorno al 2008 un gruppo di ricercatori si chiese: dato che il campo elettromagnetico è quantizzato, è possibile applicare i principi della meccanica quantistica anche al radar?”
Il radar quantistico funziona a “fotoni singoli” e si basa su un dispositivo a microonde che, tramite l’effetto Josephson, genera coppie di fotoni entangled (quantisticamente “intrecciati”), cioè due fotoni legati tra loro in modo tale che le informazioni dell’uno siano connesse a quelle dell’altro, prescindendo dalla loro distanza.
Nel radar quantistico uno dei fotoni della coppia “entangled” viene inviato verso un possibile bersaglio, mentre l'altro viene conservato e funge da riferimento. Quando il primo fotone colpisce il bersaglio e, con una data probabilità, ritorna, viene confrontato con il fotone di riferimento memorizzato. Anche se l’interazione col bersaglio (e in generale, con l’ambiente) distrugge l’entanglement, i due fotoni mantengono un certo grado di correlazione. La misura della correlazione permette di indicare la presenza di un bersaglio. Questo concetto, proprio della fisica quantistica, è simile alla correlazione classica usata nei radar tradizionali. Invece di memorizzare la forma d'onda del segnale, il radar quantistico memorizza i fotoni stessi. Se per numerose volte si rileva una correlazione tra un fotone trasmesso e quello memorizzato, si può affermare che un bersaglio è stato individuato.
Le possibilità operative del radar quantistico a microonde sono fisicamente limitate al cortissimo raggio (ordine dei metri) a causa della modestissima energia dei fotoni, oppure alle lunghezze d’onda sub-micrometriche. Viceversa il noise radar è stato sperimentato sul campo in diverse occasioni.
Quali sono le applicazioni radar?
“Il primo brevetto sul radar (Telemobiloskop di C. Huelsmeyer) risale al 1904, ma le limitazioni tecniche dell'epoca non permisero un'immediata diffusione delle sue applicazioni. Il vero sviluppo del radar avvenne negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, quando le principali nazioni iniziarono a investire massicciamente in tecnologie radaristiche per scopi difensivi. Durante il conflitto, il radar divenne uno strumento cruciale per rilevare e tracciare velivoli e vascelli nemici, contribuendo ai risultati bellici. Successivamente, il radar trovò applicazioni civili e militari in diversi settori: telerilevamento ambientale, controllo del traffico aereo, navigazione marittima, sicurezza e difesa. Con l'avanzamento tecnologico, i radar sono impiegati anche in ambito spaziale, ampliando così le loro potenzialità”.
La caratteristica principale che distingue il radar non è solo la capacità di individuare un oggetto, ma anche quella di determinarne con precisione la distanza. Questo lo rende uno strumento a radioonde unico, in grado di misurare la distanza di un oggetto che “non collabora”, ovvero che non emette intenzionalmente segnali rilevabili o che tenta di evitare la rilevazione. Questa capacità rappresenta uno dei maggiori vantaggi del radar rispetto ad altre tecnologie di rilevamento.
Qual è la situazione per i giovani laureati in Italia?
“Oggi assistiamo a una produzione di laureati che - a mio avviso - hanno seguito un percorso di studi eccessivamente specializzato. Mi pare che spesso, per inserire insegnamenti “alla moda” in un percorso di durata fissa, si trascuri l'acquisizione di una solida cultura di base (non mi riferisco solo alle discipline matematico-fisiche del rimpianto“biennio di ingegneria”, ma intendo includere le discipline di base dei singoli settori dell’ingegneria: civile, industriale, dell’informazione). Questo approccio, sebbene orientato a fornire competenze specifiche e conoscenze moderne e avanzate, lascia un crescente vuoto, che non è facile colmare successivamente, in termini di conoscenze fondamentali. La cultura di base, infatti, è difficile da recuperare una volta che è stata trascurata, mentre le competenze specifiche possono essere acquisite attraverso i corsi del dottorato di ricerca (attualmente alquanto trascurati in diverse sedi universitarie), ed eventualmente attraverso master o corsi di formazione professionale. Possedere una solida preparazione di base è un grande vantaggio: chi arriva al mercato del lavoro con una comprensione approfondita dei principi fondamentali ha una marcia in più. Questa base solida, infatti, non solo facilita l'apprendimento successivo di competenze più specialistiche, ma offre anche una maggiore flessibilità e capacità di adattamento in un campo in continua evoluzione come l'ingegneria elettronica. Una preparazione equilibrata tra conoscenze fondamentali e specialistiche può rendere i laureati più versatili e meglio preparati ad affrontare le sfide future”.
Per approfondimenti è possibile consultare il lavoro pubblicato dal Prof. Galati e dal Prof. Pavan
“Range Limitations in Microwave Quantum Radar” disponibile in https://www.mdpi.com/2865432 )