Elettronica, problem-solving ed empowerment femminile

Carmen Panepinto Zayati con la fascia da Miss Universo

Intervista a Carmen Panepinto Zayati

 

Non è facile raccontare una figura come Carmen, rendendole giustizia a tutto tondo. In primis perché c’è uno stereotipo ben radicato e sempre in agguato, spesso perpetrato anche dalla stampa: quello che ci fa pensare a quanto sia anomala un’accoppiata come quella di essere allo stesso tempo Miss Universo e una ingegnera. Ma anche perché l’attenzione alla presunta anomalia rischia di far perdere di vista quello che è invece l’obiettivo dell’azione che lei stessa sta portando avanti in maniera così convinta: aiutare le donne, promuoverne lo sviluppo e sostenerle, affinché sempre di più scelgano un percorso nelle materie scientifiche. Un messaggio potente, che si sposa molto con la voglia di rendere la tecnologia un valore aggiunto più accessibile a tutte le persone e che, grazie alla sua voce forte e chiara, oggi le dà la possibilità di rivolgersi a una platea di donne molto ampia. Oltre a questo, Carmen ha conseguito una laurea triennale in ingegneria elettronica all’Università di Pisa. Ora sta terminando la laurea magistrale in Biorobotica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ed è la testimonial ufficiale della nuova legge sulla settimana STEM. Rappresenta per noi una fonte di informazioni molto preziosa, quindi le abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio il suo percorso e per farci raccontare la sua visione del futuro per la scienza e per l’empowerment femminile nelle STEM.

Come e quando hai deciso che avresti studiato ingegneria elettronica e quali sono gli argomenti che ti interessano di più e che ti hanno colpito durante il tuo percorso di studi? 

«L’applicazione di soluzioni ingegneristiche e scientifiche mi interessavano sin dal liceo, ma con un punto di vista particolare, ovvero l’utilizzo per migliorare la vita delle persone. Prima di frequentare l’università ho voluto approfondire queste tematiche svolgendo diverse attività extracurricolari come un tirocinio presso l’EMBL in collaborazione con il CNR e la partecipazione a una summer school in genere dedicata a studenti dottorandi presso l’Università di Cambridge all’età di 17 anni. Ho sempre cercato applicazioni che mi permettessero di avere un impatto diretto e positivo nella vita delle persone: sono stata insegnante di inglese per bambini delle elementari in zone rurali della Thailandia a 16 anni e ho partecipato a varie simulazioni delle Nazioni Unite, anche presso al sede ufficiale ONU di New York, per trattare tematiche impattanti a livello globale», racconta Carmen.

E aggiunge «Quando è arrivato poi il momento di scegliere il percorso universitario più adatto a me, desideravo comunque mantenere una certa flessibilità, senza specializzarmi troppo, pertanto ho scelto una laurea che mi fornisse basi solide per intraprendere diversi percorsi durante la magistrale. Ho scelto ingegneria elettronica perché è quella che si focalizza di più sull'analisi e l’elaborazione dei segnali, soprattutto all'Università di Pisa dove studio; segnali deterministici, segnali aleatori, era questo il campo che mi interessava di più. Ora con la magistrale mi sono spostata nel campo della biorobotica e, nonostante qualche sforzo in più per per integrare le conoscenze che mancavano nel campo biomedico, vedo che le basi che ho acquisito con la laurea in elettronica mi permettono di eccellere anche in un campo che in realtà è abbastanza diverso. Questo perché in realtà l'elettronica rappresenta la base su cui si fondano molte altre specializzazioni, offrendo competenze trasversali fondamentali» dice Carmen. 

Inoltre ci ha raccontato della sua partecipazione a vari progetti che le hanno permesso di mettere in pratica le competenze tecniche acquisite, come con la vincita del Samsung Innovation Campus o la qualificazione top 3 al progetto Huawei Seeds for the future. «Queste esperienze hanno ulteriormente arricchito il mio bagaglio professionale e mi hanno confermato l'importanza di un approccio pratico e multidisciplinare alla scienza e all'ingegneria».

 

 



Il fatto che si trattasse di un corso prevalentemente maschile ti ha mai scoraggiata, prima o dopo averlo intrapreso?

«Mi ricordo il primo giorno della laurea triennale. Sono entrata in queste aule giganti, con più o meno 120 persone, ed eravamo solo tre o quattro ragazze: ti senti un po’ a disagio, un pesce fuor d'acqua, vieni guardata dai professori e ti chiedi se ti trovi nell'aula giusta, nel posto giusto, se stai sbagliando. Credo sia anche questo il motivo per cui non sono tante le ragazze che scelgono queste materie: fin dall'infanzia veniamo indirizzate verso altri campi, intendiamo che il tipo di lavoro che donne e uomini devono fare è diverso. Il fatto stesso che ci siano così poche donne in questi campi, e ancora meno in posizione di senior leadership, porta anche all'assenza di modelli a cui ispirarsi e ad avere poche donne che possono avere influenza su larga scala. Ci sono degli studi scientifici a prova del fatto che molte delle ragazze che hanno scelto di studiare ingegneria hanno avuto qualcuno nella loro famiglia o nella loro cerchia stretta che ha fatto questo tipo di studi o che le ha ispirate».

Carmen, infatti, sta lottando per colmare questo gap e fare in modo che, da circolo vizioso, con poche donne e quindi poche figure di riferimento, si arrivi finalmente ad un circolo virtuoso, con più figure a cui ispirarsi. Lei stessa è una role model che, come ci racconta, ha acquisito competenze importanti da mettere a frutto nel suo percorso di carriera futura, con un livello di ambizione non da poco.

«Vorrei trovare il modo di risolvere i problemi delle persone. Già durante la mia tesina del liceo, invece di fare il solito lavoro di collegamento tra le materie, ho costruito una protesi stampata in 3D per un avambraccio, con un sistema arduino e due servomotori. Mi è venuto in mente dopo essere stata a Roma ad una edizione della Maker Faire, dove ho conosciuto alcuni ragazzi di un istituto tecnico che stavano mostrando tante di queste protesi stampate da loro. Quindi mi sono informata e ho imparato da loro: mi piace l'idea di aver fatto un liceo perché penso mi abbia dato una formazione completa, ma vedere anche che gli istituti tecnici fanno cose pratiche proprio su quello che mi piace mi ha aperto gli occhi. Ho interagito con i loro professori e con alcuni amici che facevano già ingegneria elettronica nella triennale, e con qualche ricerca su Internet sono riuscita a realizzare questo piccolo progetto». 

Ma c’è un altro aspetto importante, sottolinea Carmen. Ora le ricerche che vengono fatte in campo biomedico sono tecnologicamente avanzate, risolvono gravi problemi e salvano la vita di molte persone, ma, per rimanere nell’ambito della protesica, la maggioranza delle persone che hanno subito un’amputazione e che hanno bisogno di queste soluzioni non se le possono permettere. C’è infatti un divario economico importante che va tenuto in considerazione per far sì che la tecnologia avanzata sia più accessibile a chi veramente ne ha bisogno. «Ci sono molti problemi in questo campo: sono entrata nel settore della bionica, pensando che avrei voluto occuparmi solo di protesi, principalmente di avambracci e mani. Però ho scoperto in realtà tutte le sfaccettature che ci sono e che non conoscevo, a partire dal concetto stesso di bionica, che è quello di trovare delle soluzioni che ci sono già in natura, replicarle e applicarle ai problemi della vita quotidiana. Vorrei conoscerli tutti meglio, per poi specializzarmi con il dottorato di ricerca: ho scoperto l’ambito della rigenerazione dei tessuti che è attualmente quello che mi incuriosisce di più e su cui ci sono tanti studi interessanti da sviluppare». 

 

 

In passato hai avuto l’impressione che il percorso all'interno dei concorsi di bellezza non si sposasse con quella che invece era la tua ambizione legata alla scienza. Cosa ti ha fatto cambiare idea e come hai vissuto questa esperienza?

«Inizialmente mi ero iscritta per gioco e per curiosità, per provare un’esperienza nuova. 

C’era anche tutto il condizionamento dello stereotipo per cui o studi e fai la ricercatrice, ti occupi della carriera accademica o fai la modella e ti dedichi al mondo della moda e dell’influencing. Ti convinci che i due mondi siano completamente separati, anche le persone intorno mi chiedevano cosa stessi facendo. Al liceo ero brava, mi impegnavo molto e quando raccontavo che avevo fatto l’esperienza di questi concorsi mi dicevano che, dato che ero brava a studiare, avrei dovuto continuare a fare quello. E quindi mi sono fatta influenzare da tutti questi stereotipi, abbandonando completamente i concorsi e dedicandomi alla ricerca, allo studio, fino alla triennale e alla magistrale. Poi ho scoperto questo concorso Miss Universe, non molto conosciuto in Italia e ho visto l'importanza che loro danno alla causa sociale della ragazza: cercano una persona che possa usare la propria voce e agire come catalizzatore per il cambiamento. Mi è piaciuta molto questa opportunità di avere una piattaforma per dare più visibilità alla propria idea, sviluppare la propria causa sociale e ho pensato fosse l'occasione giusta per mandare il mio messaggio a molte più donne. Ora mi scrivono tantissime ragazze che mi ringraziano per quello che sto facendo, cercando di sconfiggere gli stereotipi che ci sono sia sulle ragazze nel campo della scienza che sulle ragazze nel campo della moda». 

 

Un obiettivo ambizioso che Carmen sta perseguendo anche nella divulgazione, con video che fondono tra loro il mondo della scienza e della moda per mostrare che non sono così lontani tra loro. «All'inizio avevo timore che una carriera di questo genere, dato che la mia passione principale è la ricerca, avrebbe portato a una perdita di credibilità nelle mie capacità tecniche, e ad essere messa in dubbio da entrambi i lati». L’idea che per essere presa sul serio in un ambito predominantemente maschile ci si debba presentare neutre, acqua e sapone e avere un aspetto poco femminile, purtroppo, è ancora molto diffusa. «Si tratta di un fattore psicologico e tendevo a farlo anche io: i primi anni all'università, andavo struccata, vestita semplice, per evitare di essere guardata troppo e per timore che i miei risultati accademici e le mie capacità fossero messi in dubbio» dice Carmen.

 

Oltre a queste barriere, come vivi il mondo scientifico e cosa pensi si possa fare per far sì che più donne vi accedano?

«Per promuovere queste materie si può lavorare su diversi aspetti. Il primo sicuramente è mostrare tutte le opportunità che apre e tutte le sfaccettature che ci sono in questi campi. L’ingegneria non consiste solamente nel costruire un tavolo, un telefono, o una casa: se le persone, soprattutto le donne, sapessero tutte le potenzialità derivanti da queste competenze in campo scientifico, molte più persone si appassionerebbero. Al di là dell’imparare gli aspetti tecnici, quello che fa la differenza è proprio il tipo di mentalità: un approccio di problem solving che ti permette di risolvere tutti i problemi, non solo in campo scientifico ma anche nella vita quotidiana», dice Carmen.

 

E come si promuove l'empowerment femminile? 

«Sapendo, prima di tutto, che è un processo multidimensionale, a più livelli. In quest’ottica è necessario che si parta ragionando in termini di gender equity, dando cioè a tutte le persone quella parte di conoscenza mancante ad hoc affinché tutte possano raggiungere lo stesso livello finale. Riconoscere che persone hanno competenze e conoscenze diverse, che vengono da background diversi: una visione diversa da chi pensa di raggiungere l’obiettivo dando gli stessi strumenti a tutti, indiscriminatamente, senza considerare il livello di partenza.

Poi si sale al livello relazionale: vogliamo che la donna diventi partecipante attiva nella propria società. Questo è quello che io sto cercando di fare ora: per motivare altre donne devi fare qualcosa di pratico, come stimolare ancora di più tutte le ragazze che mi scrivono ad oggi. 

E poi, per concludere, c’è il livello sociale, in cui la donna può raggiungere posizioni di senior leadership e, di conseguenza, raggiungere un target molto più ampio. Il mio impegno ora è capire quali sono le difficoltà e capire come posso aiutare ogni donna a fare tutti questi tre step nelle materie scientifiche. Si parla spesso di empowerment, ma non molti ne conoscono il vero significato: bisogna proprio partire dal capire che cos'è, per cui uno sta lottando e capire poi tutte le sfaccettature e dividere in piccoli step. Per fare un parallelismo con l’ingegneria, parliamo sempre di problem solving: qualsiasi problema tu vuoi risolvere, lo dividi in pezzetti, capisci cosa ti serve e lo studi bene ed è grazie all'ingegneria che ho raggiunto questo tipo di mentalità, tipo di modo di pensare», conclude Carmen.

 

 

In questo percorso, quanto ha inciso il supporto della tua famiglia e della tua cerchia di conoscenti?

«Mi hanno sostenuta tantissimo, in particolare mia mamma: ha vissuto anche lei dei mesi molto frenetici, ed essendo giornalista mi ha preparata e supportata molto anche nelle interviste. In questa lotta abbiamo messo insieme le nostre forze, unendo le sue competenze sul tema delle gender strategies e le mie sulle STEM. Ed è anche grazie a lei che ho scelto queste materie scientifiche: mi ha sempre spinta perché pensava mi avrebbero aperto più opportunità e perché sono la base per un futuro sostenibile, che è quello che serve al pianeta in questo momento».

 

Il percorso che Carmen sta affrontando è uno degli esempi tangibili di come tutte le conoscenze che acquisiamo e le esperienze che viviamo contribuiscono a forgiare, passo dopo passo, le persone che vogliamo diventare e i risultati che possiamo raggiungere. Dall’elettronica alla promozione della cultura STEM il passo è molto più breve e affascinante di quanto avremmo pensato.




Ultimi articoli

Login Form

Questo sito utilizza cookies. Continuando la navigazione si accetta di riceverli.